Blue(s) Monday

Sabato scorso sono andata in un noto locale milanese ad ascoltare musica jazz. Era uno spettacolo fissato in calendario a febbraio 2020, poi spostato a maggio per l’arrivo della Bestia Incoronata e rispostato a ottobre perché a maggio era troppo presto. Ma la Besta Incoronata c’è ancora, inizia a farsi risentire e così, per timore  di non riuscire più a vedere questo spettacolo, ho gettato il cuore oltre l’ostacolo (o in questo caso sarebbe meglio dire l’ostacolo oltre il cuore?) e sono andata ad ascoltare una donna dalla voce meravigliosa. Un assaggio di normalità, mentre nell’aria già respiravo l’imminente e tanto temuta seconda ondata: tra poco si chiuderà di nuovo una fette delle attività (locali dopo la mezzanotte, forse palestre  e chi può obbligato a lavorare da casa) e ripiomberemo tutti in un Blue Monday continuo, un senso di tristezza che riusciremo difficilmente a scrollarci di dosso.

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Etty Hillesum

La sostenibile leggerezza dell’essere

Da qualche tempo ho ripreso a leggere libri in modo continuativo. Leggo di tutto, ma mi sto interessando anche alle autobiografie, i racconti sotto forma di diario che non descrivono semplicemente i fatti temporali di un’esistenza, ma ne scavano l’anima, tirando fuori emozioni, pensieri, fissando sulla carta momenti indelebili che in qualche modo hanno segnato quella vita.

Mi ci tuffo in questi libri, per ritrovare il filo dell’essenza umana, del comun sentire. Mi immergo in queste storie e trattengo il respiro, per vedere se c’è vita oltre a quello che mi offre la Società ogni giorno, sempre più vuota, sempre più leggera, sempre più effimera.

Ho letto “Diario – 1941 – 1943”, la raccolta delle lettere scritte da Etty Hillesum, olandese di origine ebraica morta non ancora trentenne nei campi di concentramento. Con questa premessa chissà a quale tipo di libro state pensando: angosciante, triste, soffocante. Non è niente di tutto questo. Semmai angosciante e triste è la Società di oggi, in cui Etty si sarebbe trovata malissimo, ne sono convinta.

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La Signora Nessuno

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Ogni mattina, prima di salire sul treno che mi porta in ufficio, prendo il caffè al bar della stazione. Si tratta di un localino piccolo, ma ben tenuto. E sempre pieno di gente che va e viene, che prende un caffè di corsa per non perdere il treno, mangia al volo un panino, prende al volo una spremuta. Al volo, di corsa, sempre.

Anche io corro sempre. Le rare volte in cui arrivo con qualche minuto di anticipo, mi piace però prendere il caffè seduta ad uno dei graziosi tavolini del bar. Dietro al bancone trovo sempre due donne, una sui vent’anni, l’altra verso i cinquanta.

Raramente dedico loro più di un sorriso o un grazie, senza non notare la loro costante allegria, gentilezza e voglia di sorridere che, onestamente, non so come facciano ad avere alle 7 del mattino. Sorridono nonostante intorno a loro di sorrisi ce ne siano pochi. O siano sfuggenti, di cortesia, come il mio.

Avventori che a malapena chiedono “per favore” prima di fare l’ordinazione, che a malapena alzano lo sguardo su chi li sta servendo, che a malapena sfoggiano un sorriso. Figurarsi chiedere a quelle due donne come stanno.

 O come si chiamano.

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Quella voglia di essere salvata

Quella voglia di essere salvata

Viviamo in un’epoca in cui i ruoli di uomini e donne si stanno gradualmente allineando, dove l’uomo è sempre più presente in casa e la donna riesce sempre di più a ritagliarsi degli spazi per fare carriera, con figli al seguito. C’è ancora molto da fare sul fronte della vera emancipazione, ma non è di questo che voglio parlare.

Parlo degli effetti collaterali dell’emancipazione.

Nella mia vita ho sempre cercato di essere indipendente, nel pensiero e nella vita pratica: felice con me stessa e senza far dipendere la mia felicità da altri individui (a parte i figli, ma questa è un’altra storia) ed autonoma nella vita di tutti i giorni con un lavoro che mi possa mantenere e grazie al quale non devo dipendere economicamente da nessuno.

Due grandi conquiste. E lo sono, a tutti gli effetti. Qui effetti collaterali non ce ne sono.

Ma parlo del rapporto con l’altro sesso, con l’uomo nel mio caso. Con il mio compagno, padre dei miei figli e che amo infinitamente.

Sono sempre stata così portata alla mia indipendenza e alla mia autonomia, da avergli fatto terra bruciata.

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Dieci anni dopo (seconda parte)

io e Leo

L’ho detto che la mente è strana. Alla mia poi hanno dato la laurea honoris causa per la stranezza. Passo una giornata a convincermi da sola di alcune cose, e il giorno dopo lo spendo a ripensare completamente a quello di cui ero così convinta. Una continua altalena di pensieri, emozioni, convinzioni. Come si fa a vivere così?

Ho concluso il post precedente dicendo che, tornando in quel posto di lavoro da cui ero scappata qualche anno prima, ho dato inizio alla mia fine. Un po’ forte come espressione, ma vera, in un certo senso.

Anche perché non saprei come altro definire tornare in un posto di lavoro che mi aveva avvelenato, convinta che le cose fossero completamente diverse. Come si fa a essere così stupidi?

Si può essere così,stupidi quando si crede nel prossimo in modo straordinario, quando si crede che le cose possono cambiare, quando si è convinti che in ogni persona, anche in quella più infida, ci sia del buono.  E ci si crede così tanto nelle persone (aziende) da sacrificare il proprio tempo, il tempo passato con i figli, i momenti della maternità più belli che non torneranno mai più, perché si crede nelle persone. Continua a leggere

Dieci anni dopo

Quest’anno sono dieci anni dal mio viaggio in Australia. Che poi non è stato un viaggio turistico, è stata un’esperienza di vita. La più importante della mia vita. Un’esperienza che mi ha cambiato, mi ha stravolto, ha segnato uno spartiacque tra la vecchia e nuova Angelica.

Ho già raccontato nelle pagine di questo blog cosa hanno significato per me quei 18 mesi, da giugno 2009 a dicembre 2010.

Ma che cosa è successo dopo, quando sono tornata?

Ho cambiato lavoro cinque volte, ho incontrato Andrea, sono diventata mamma di Leonardo e Alessandro, mi sto avvicinando ai 40 e ancora non ho ben capito cosa voglio fare da grande.

O meglio, un’idea di massima ce l’ho in testa, ho chiarito tanti dubbi che mi affossavano la mente, ma ho passato anche intere giornate a chiedermi perché. Che invidia mi fanno le persone che hanno già tutto chiaro, che hanno ben definito davanti a loro il cammino. Che fin dalle elementari sapevano che avrebbero fatto gli avvocati e quello sono diventati.

Non sto scherzando. Io li invidio davvero questi individui che hanno una visione così chiara sulle cose. Continua a leggere

Non è un mondo per mamme

Sono talmente angosciata da aver ripreso a scrivere sul blog, su cui non mettevo piede (anzi, mani) da due anni. Il motivo è semplice: ho letto la storia di questa donna e ancora prima che uscisse l’articolo incriminato, i cui autore e titolista (ammesso e non concesso che siano la stessa persona) dovrebbero essere immersi nel Tevere giusto una quindicina di secondi per vedere se qualche neurone si riattiva nel loro minuscolo cervello, dicevo prima di leggere questo articolo e rimanere sgomenta, ho letto la storia di questa donna. E non è stato lo sgomento il primo sentimento provato. Né rabbia, né tristezza.

La prima cosa che ho provato è stata comprensione.

Non so cosa l’abbia letteralmente spinta a fare quel salto, con le sue bambine. Quale ultimo pensiero, frase, immagine, situazione l’abbiano spinta a scegliere l’opzione più dura per tutte e tre. Quale fenomeno le ha fatto dire “Adesso basta, non ne posso più”. Non lo sappiamo, nessuno lo sa.

E non so se fosse davvero sola o se forse, benché circondata dagli affetti, nessuno si sia accorto fino in fondo la sua sofferenza. Perché una mamma, se c’è una cosa che sa fare molto bene, è nascondere la fatica, le lacrime, la depressione e tirare fuori sempre un sorriso, una parola buona, un “non ti preoccupare, va tutto bene” per non fare preoccupare nessuno, per far vedere che si è forti, sempre e comunque. Continua a leggere

“Codardi”

 

Preoccupazione

Qualche tempo fa ho assistito a un fatto un po’ particolare, che mi ha sorpreso talmente tanto da aver dovuto aspettare un po’ di tempo per elaborarlo e poi scriverlo.

In un caldo pomeriggio di maggio mi sono recata in Posta con mio figlio. Sì, lo so, non è una grande idea portarsi un bimbo di due anni in Posta, ma lo vedo poco e quindi anche a costo di scoppiarci qualche ora in fila agli uffici postali noi dobbiamo stare vicini vicini. Mi sono portata l’Ipadde (come chiama Leo L’Ipad) biscotti, acqua, fazzoletti, insomma tutto il necessaire che di solito si usa per andar e in giro, io me lo sono portato in Posta. Ero pronta per la “guerra”.

In realtà c’erano tre persone. Mai successo.

Due di loro erano già appostati agli unici due sportelli aperti, solo due su cinque. Ma visto l’esiguo pubblico, andava bene.

Seduti in attesa c’eravamo io, Leolino e, due sedie più a destra, una signora vestita tutta di nero.

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Il Signor Politicamente Corretto, il male del secolo.

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Basta, non ne non ne posso più.

Siamo nel 2016, un’era in cui esprimere la propria opinione dovrebbe essere normale e rispettato e invece no, no, no. Si sta tornando indietro, anzi no si sta andando verso una nuova concezione dell’espressione dei pensieri, che ormai non possono più essere diversi ma devono tutti confluire verso un unico grande fiume, il fiume del Signor Politicamente Corretto. Altrimenti rischi l’isolamento e la stigmatizzazione perenne.

Ho deciso di umanizzare il concetto per spiegarlo meglio, così gli ho dato il titolo di Signore Politicamente Corretto ( e sono stata fin troppo gentile :-)).

Visivamente, è quell’omino che sta massacrando il cervello del signore che vedete nell’immagine.

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Il problema non è diventare grandi, ma dimenticare..

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Vi do qualche indizio: la frase del titolo appartiene a uno dei capolavori della letteratura moderna, tanto amato dai bambini ma che tutti gli adulti, anzi soprattutto gli adulti, dovrebbero leggere.

Perché me ne esco con questo pippone? Perché vi voglio illuminare la settimana 🙂

Scherzo. O meglio, se sortisce questo effetto, sono contenta.

Questa bellissima frase che ho messo come titolo e che ho letto ormai decine di volte nella mia vita, mi ha dato il pretesto per scrivere qualcosa che nasce solo da miei considerazioni personali, o meglio dalle ore (quando riesco) passate a guardare mio figlio, Leonardo. Un piccolo uomo che da 21 mesi ha illuminato la mia esistenza. Ma è banale ridurre tutto a una frase del genere. Certo che i figli illuminano l’esistenza, vorrei ben vedere.

Leonardo però ha fatto molto di più: è stato, ed è, un piccolo maestro di vita. Un inconsapevole insegnante di emozioni. Mi ha insegnato una cosa che avevo smesso di fare da tempo. Sorprendermi. Continua a leggere

Quella voglia di tornare a casa

homesickRieccomi qui, a pochi giorni dalla fine di questo 2015, con la voglia di scrivere e la solita lista di buoni propositi: uno di questi è quello di aggiornare un po’ più spesso questo blog, perché dopo questi primi 20 mesi da mammatroppopresaperfarealtro ho di nuovo voglia di scrivere.

L’assist per ricominciare me l’hanno data alcune email ricevute poco tempo fa. L’ultima è di una ragazza che vive e lavora in Scozia da qualche tempo.
All’inizio tutto bene, poi ha cominciato anche lei, come è successo a me in Australia, a sentire qualcosa che non andava. Qualche scricchiolìo.

Il vento che cambia, la sensazione che qui sì, è tutto bello, ma manca qualcosa, oppure no, il posto va bene, ma sei tu, che ti ci sei catapultata dentro per mille motivi e per altri mille motivi sperasse andasse bene, che a un certo punto non ti ci ritrovi più. Questa ragazza mi chiede cosa deve fare, non ha il coraggio di parlarne con i suoi, non sa che fare e pensa di essere unica o quasi a sentirsi così. Ho provato a risponderle.

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L’immigrato, questo sconosciuto

immigrazione Italia

Buongiorno. Per tornare a scrivere non potevo scegliere argomento più scottante, ma è stato più forte di me. Ho un groviglio nello stomaco che sta crescendo ogni giorno a causa di questa cosa, ieri sera non ho toccato cibo. Mentre davo da mangiare al piccolo Leo rimuginavo su questo, mancando qualche volta la sua bocca con il cucchiaino e suscitando le sue proteste. Alla fine l’ho fatto mangiare da solo e ci ha dato dentro con le sue manine, tutto sporco e contento.

E io ho continuato a pensare. Ora voi mi direte, ma non hai altro da fare? Giusto, ma la testa non comanda lo stomaco in questi casi per cui, l’unico modo che ho per farmi passare “la gastrite da pensiero insistente” (come la chiamo io) è scrivere. E’ terapeutico.

Probabilmente quello che scrivo è la scoperta dell’acqua calda, ma mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate 🙂

Il titolo del post potrei usarlo in riferimento a qualsiasi immigrato. L’Italiano che va in Australia o quello che è partito nei primi decenni del secolo scorso alla volta degli Stati Uniti…oppure l’immigrato che sbarca ogni giorno sulle nostre coste. Ma sono immigrati diversi, completamente diversi. Continua a leggere

Agli italiani importa degli italiani?

Fino a poco tempo fa l’unica fuga dei giovani di cui sentivamo parlare era quella dei cervelli. La cosa mi ha sempre fatto un po’ sorridere, pensando a chi invece emigrava senza una laurea, solo per provare a vivere in un altro posto e che non ricadeva in questa categoria perchè…non aveva una laurea. Ma non era un cervello anche quello? Quante persone in gamba conoscete di valore e assoluta intelligenza con un semplice diploma o licenza media? Io molte. Ed è un vero peccato vederle andare via.

Ma non è di questo che voglio parlare.

Parlo dell’acqua calda in fondo, niente di sorprendente. Siamo passati dalle fughe di chi sperava di poter spendere in modo migliore e più redditizio la propria laurea (i cervelli) alle fughe dei giovani, laureati o meno che vogliono provare a vivere altrove per cercare un futuro che a quanto pare l’italia non vuole dar loro fino ad arrivare alle famiglie, così disperate da volere prendere marmocchi e valigie e andare il più lontano possibile da qui, non importa se in gioco c’è praticamente tutto.  E arriviamo poi ai pensionati, che qui con mille euro fanno la fame mentre in posti come la Canarie o il SudEst asiatico vivono alla grande e, quindi, via di corsa da questo paese! Continua a leggere

Continuo a far fatica a comprendervi, cari italiani all’estero…

Questa è l’ultima volta che torno sull’argomento, promesso.
Ho aspettato a farlo, mi son detta basta Angelica continuare a dire che qui in Italia ci stai bene che tanto non ti capiscono. Però poi a un certo punto non ce l’ho fatta.
Un mese fa circa Aldo di Italiansinfuga postò su Facebook una domanda fatta da un suo lettore che gli chiedeva se avesse mai conosciuto chi, partito per l’estero, fosse poi tornato in Italia con la voglia di rimanere.
Naturalmente alzai la mano e risposi Io!!! 🙂
Probabilmente fui l’unica…anche se dalle mail che mi arrivano in privato non sono pochi quelli che la pensano come me….
Il bravissimo Aldo non perse tempo e mi propose un’intervista lampo sull’argomento, vi ho postato il video. Qui potete leggere l’intervista: http://www.italiansinfuga.com/2013/09/02/e-se-litalia-non-fosse-cosi-male/
A suddetta intervista, in cui in pratica spiego quanto sia tutto sommato felice di essere nel mio paese, finalmente realizzata, sono seguiti una serie di commenti a dir poco infastiditi. Oltre ad altri invece che mi supportavano ed erano contenti della mia scelta, ma questi ultimi mi sono parsi in netta minoranza. Continua a leggere

Mi avete stufato

Non faccio altro che leggere o sentire appelli di sedicenti saggi o presunti detentori di verità assolute che si rivolgono alle giovani generazioni e le incitano a scappare il più fretta possibile da questo paese che pare sull’orlo del baratro. “Andatevene,  scappate finché siete in tempo, andate all’estero che di sicuro va meglio….”

Ma come vi permettete? Ma non vi vergognate??

Come potete arrogarvi il diritto di dire a un ragazzo di scappare dal proprio paese? Come potete sputare sul paese dove voi stessi vivete? Cosa c’è di meglio la fuori? Siamo sicuri che qui sia tutto una merda e che appena varcati i confini l’aria che si respira sia migliore?

Mi avete stancato, voi con le vostre verità che giudicate e giudicate influenzando la vita dei giovani che vorrebbero farsi un futuro qui. State zitti. Continua a leggere

Prendiamola con filosofia….o no?

filosofi

All’Italia servirebbero 1,7 milioni di posti di lavoro per superare la crisi. All’Europa 6, al mondo in generale quasi 31 milioni. E allora via con le ricette a base di incentivi, detassazioni, meno austerity, più innovazione. Quanti bei discorsi.

Forse siamo troppi e non c’è lavoro per tutti? Perché questo pare emergere dallo pseudoterroismo mediatico a cui siamo sottoposti quotidianamente. Ci fanno credere che sta per arrivare l’inevitabile, che la crisi non potrà che peggiorare, che fugaci aumenti minimi di Pil saranno dovuti a sacrifici inenarrabili a spese della povera gente…mentre invece gli stipendi dei top manager continuano a salire: negli Stati Uniti un ceo arriva a prendere uno stipendio 508 volte superiore a quello del lavoratore americano medio.

Allora uno legge queste cose, un disoccupato magari da lungo termine…e cosa può pensare?

Che è uno schifo, ovvio. Poi? Come lo riempie il frigo se c’è questo schifo?

Quando sento parlare di reddito di cittadinanza mi viene la pelle d’oca, perché se è vero che uno stipendio minimo va garantito è ancora più vero che un lavoro dignitoso va garantito a tutti. Qualcuno ha scritto Lavoro di cittadinanza, anziché stipendio. Condivido pienamente

Ma se aspettiamo che sia lo Stato a trovarci il lavoro, stiamo freschi, aggiungo io. Continua a leggere

Forse la causa della crisi siamo noi?

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Da qualche tempo ho iniziato a riflettere su una cosa. Qualcosa che forse per voi è già ovvia, io ci ho messo forse un po’ di più ad arrivarci.

Ho pensato: e se la crisi che viviamo oggi, se questo maledetto periodo che forse tanto maledetto non è, fosse colpa nostra?

I nostri genitori, nei nostri panni, come lo avrebbero gestito?

Forse con i risparmi messi da parte sarebbero sopravvissuti alla tempesta, sarebbero ripartiti in qualche modo. Mentre noi, figli del Dio consumismo che da diversi anni anche dalle nostre parti ha raggiunti livelli direi grotteschi, il senso del risparmio non ce l’abbiamo. Ecco qual è il vero problema di oggi. Brava Maga, hai scoperto l’acqua calda! 😀

Riuscite a mettervi da parte due lire voi? Parlo seriamente e mi rivolgo a chi ha un lavoro decente con uno stipendio decente. Chi non ce l’ha mi insulta giustamente. Continua a leggere

Qualcosa è cambiato…o è sempre stato così?

vignetta

Nella pubblicità surreale di un famoso supermercato italiano il direttore del negozio si alza alle 4 del mattino e dice alla moglie: “C’è qualcosa che non va, devo andare” e la moglie assonnata gli domanda (qualsiasi altra donna avrebbe continuato tranquillamente a dormire)  “Tra di noi?” e lui risponde “No, tra la gente” e va a cambiare i prezzi del supermercato…ecco anche io ho lo stesso dubbio del direttore, solo che non mi alzo alle 4 del mattino per dirvelo ma mi limito a scrivervelo alla fine di questa tiepida giornata di una primavera che continua a prenderci in giro.  Il mio dubbio però non riguarda i prezzi dei generi alimentari, ma un genere anzi un elemento essenziale della nostra vita che si sta continuamente esaurendo e che non si può comprare in nessun supermercato. Continua a leggere

Le farfalle nello stomaco

farfalle

La prossima settimana a quest’ora ci guarderemo tutti in faccia. Sul bus, a lavoro, a pranzo o a cena con gli amici gli sguardi si incroceranno per intuire, senza il coraggio di chiedere, la soddisfazione, la rabbia o l’assoluta indifferenza sui risultati delle urne.

Come andrà a finire? Non lo so, ma so come tutto è iniziato per me, so come mi sentivo appena qualche settimana fa. Un’anima in preda all’indecisione più assoluta, che non vedeva scelta in un panorama apparentemente colmo di scelte politiche possibili. Mi sono infuriata con me stessa perché lasciare la scheda bianca è come regalare voti ai politici che non voglio più rivedere. Volevo votare, ma non sapevo chi scegliere.
Poi ho iniziato a ragionarci e a cambiare completamente punto di vista sulle elezioni. E alla fine la scelta si è palesata senza ombre.
Non cito partiti o politici. Parlo solo del mio ragionamento, poi ognuno di voi, se vorrà, tirerà le sue conclusioni. Continua a leggere

La forza di lottare

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Sono sconvolta. Amareggiata, delusa, scioccata. Non capisco e quando non capisco mi incazzo. Perché amo razionalizzare e comprendere quello che mi circonda e quando ciò non succede, rischio di impazzire. Inizio a pensare che forse i Maya non si sbagliavano, che il 2012 forse è davvero stato l’ultimo anno “normale”.
Da gennaio 2013 il baratro si è fatto più profondo e il mio sano ottimismo che cerco sempre di coltivare ogni giorno, con costanza, comincia a tentennare.
Non sono una grande fedele, non lo sono mai stata. Bigotta si. Ci sono stati periodi in cui non saltavo una messa e mi sentivo una peccatrice da mattino a sera, poi fortunatamente il periodo da ossessionata della fede è finito e ho intrapreso un mio cammino spirituale personale. Continua a leggere