La Signora Nessuno
Ogni mattina, prima di salire sul treno che mi porta in ufficio, prendo il caffè al bar della stazione. Si tratta di un localino piccolo, ma ben tenuto. E sempre pieno di gente che va e viene, che prende un caffè di corsa per non perdere il treno, mangia al volo un panino, prende al volo una spremuta. Al volo, di corsa, sempre.
Anche io corro sempre. Le rare volte in cui arrivo con qualche minuto di anticipo, mi piace però prendere il caffè seduta ad uno dei graziosi tavolini del bar. Dietro al bancone trovo sempre due donne, una sui vent’anni, l’altra verso i cinquanta.
Raramente dedico loro più di un sorriso o un grazie, senza non notare la loro costante allegria, gentilezza e voglia di sorridere che, onestamente, non so come facciano ad avere alle 7 del mattino. Sorridono nonostante intorno a loro di sorrisi ce ne siano pochi. O siano sfuggenti, di cortesia, come il mio.
Avventori che a malapena chiedono “per favore” prima di fare l’ordinazione, che a malapena alzano lo sguardo su chi li sta servendo, che a malapena sfoggiano un sorriso. Figurarsi chiedere a quelle due donne come stanno.
O come si chiamano.
Stamattina sono arrivata con un certo anticipo. Mi son seduta al mio solito tavolino, ma invece che mettermi a guardare il cellulare, come faccio sempre, ho iniziato a osservare quel microcosmo mattutino che si ripete con lo stesso identico copione, ogni giorno.
E ho cambiato punto di vista. Mi sono immaginata dietro a quel bancone e mi sono soffermata sui gesti e le parole di chi vi lavora. Oggi c’era solo la ragazza più giovane. Sorriso sempre presente, una parola gentile per tutti.
Ha gli occhi scuri, la pelle molto chiara. I capelli tinti di arancione (e glielo perdoniamo, non avrà nemmeno 25 anni) le danno un’aria ancora più allegra.
Esce dalla cucina con un vassoio fumante di brioches appena sfornate, e l’aria si riempie subito del tipico profumo dolciastro. “Eccole qui!” commenta felice ai clienti che hanno già il tovagliolino di carta in mano per agguantare la dolce colazione, incuranti di sorrisi e gentilezze di chi la sta distribuendo.
Qualcuno addenta la brioche, lascia i soldi direttamente sul bancone e si fionda in banchina. Altri divorano velocemente la colazione, trangugiano il cappuccino bollente incuranti dell’eventuale ustione delle corde vocali, si puliscono velocemente la bocca, saldano e scappano via. “Ciao Ciao, sa saluto”, il massimo che riescono a dire. E lei risponde gentilmente a tutti, augurando a tutti una buona giornata.
Potrebbe fare come fanno loro, abbozzare finti sorrisi senza nemmeno alzare lo sguardo, tanto loro non se ne accorgerebbero. E invece sembra voler insistere a distribuire gentilezza, insieme alle brioche.
A quel punto mi alzo. Il mio treno sta per arrivare, ma prima di uscire voglio fare una cosa.
Mi avvicino al bancone, a pochi centimetri dalla giovane barista intenta a lavare le stoviglie nel piccolo lavello di acciaio: “Come ti chiami?” le chiedo, così, di getto.
Il suo sorriso per un attimo si blocca. Smette di sciacquare i bicchieri e volge lo sguardo verso di me per rispondermi: “Perché me lo chiedi?”.
Spiazzata. Mi aspettavo un nome, non una domanda. Onestamente non saprei cosa rispondere, faccio per aprire bocca, ma lei è già dall’altra parte del bancone a servire voraci avventori in cerca di brioches. Rimango ferma come un’ebete, lì vicino al bancone, in attesa della risposta. Lei mi guarda e mi sorride. E in quel sorriso noto sorpresa. Mi sorride con gli occhi, per la prima volta.
Forse non si aspettava che qualcuno le chiedesse il nome. Che qualcuno alzasse lo sguardo su questa giovane signora “nessuno” che in realtà è una ragazza gioviale ed è molto di più della mano che dispensa brioche o aziona la macchina del caffè. Forse anche lei è rimasta spiazzata dalla domanda. Dall’interesse.
Torno al mio tavolino, ancora con quel senso di spiazzamento. Stanno annunciando il mio treno. Vorrei sapere come si chiama, per dare un nome a chi mi serve ogni giorno, a chi non perde mai la pazienza di fronte a quella massa di gente a cui di lei non frega nulla, vuole solo il suo dannato cappuccino e la sua meritata brioche. Vorrei sapere il suo nome, perché da domani vorrei salutarla e chiederle come sta, prima di chiederle il caffè.
Perché se è vero che il cliente ha sempre ragione, che occorre ricostruire il rapporto con il cliente, fidelizzarlo, etc…è anche vero che spesso il cliente non ha voglia di socializzare con chi gli sta vendendo un servizio, non gli interessa il nome, la vita o gli interessi di chi ha di fronte. Perché forse questo rapporto ce lo stiamo perdendo tutti, abituati a comprare online, velocemente, senza troppi passaggi intermedi, senza spiegazioni.
Ci stiamo abituando alla freddezza nelle relazioni. Siamo pronti a scrivere una recensione negativa se il gestore non è stato gentile o sorridente o onnipresente e super efficiente, ma quanto siamo disposti a essere anche noi, a nostra volta, altrettanto gentili? Stiamo diventando clienti esigenti, freddi e risoluti che non hanno tempo per scambiare due chiacchiere o ricambiare un sorriso.
Sarebbe bizzarro se esistesse un sito di recensioni di clienti, ci pensate? Non sarebbe poi una brutta idea, impareremmo un po’ tutti a essere gentili, a non pretendere solo perché paghiamo, ma a ricambiare con una gentilezza o una chiacchiera cortese, anche quando chi ci sta servendo non ha voglia di sorridere o si lascia andare a risposte scocciate…perché le brutte giornate capitano a tutti, clienti e impiegati.
Anche se qui, in questo piccolo bar di questa piccola stazione, non ho mai sentito toni scocciati o visto visi spenti.
Assorta e avvolta da questi pensieri, mi metto la giacca e indosso il mio zaino. Il treno si sta fermando in stazione. Vado verso l’uscita e con la coda dell’occhio vedo quella ragazza avvicinarsi al mio tavolino, per prendere la tazzina di caffè sporca.
Apro la porta.
“Anita”. Le sento dire alle mie spalle.
Mi fermo, chiudo la porta e mi giro verso di lei. Il treno è praticamente fermo in stazione.
“Anita, mi chiamo Anita”. Mi dice.
I nostri sguardi si incrociano velocemente. Poi prende la tazzina e torna verso il bancone.
Vorrei dirle che io mi chiamo Angelica e che è un piacere conoscerla, ma rischio di perdere il treno.
Le sorrido e scappo via.
Domani tornerò, arriverò con un po’ di anticipo e mi prenderò un caffè con Anita.
Hai scelto di vivere in Italia e queste sono le conseguenze… Ogni volta che torno dai miei viaggi di 1/2/3 anni… Resisto massimo 2 giorni poi sento la necessità di scappare via e tornare alla mia felicità e alle persone che ( all estero) sorridono…
Brava!!! Hai fatto benissimo a chiederle in nome!!!:) fantastica 🙂
Sally non penso sia una prerogativa italiana. Io vivo in Giappone e ti assicuro che in Italia siamo indietro anni luce per ciò che riguarda freddezza e impersonalità. Ma fare si tutta l’erba un fascio a mio avviso è sbagliato a prescindere. Qui è stata fatta una fotografia di un bar in stazione nell’ora di punta. Non ci si può aspettare qualcosa di tanto diverso. Lo stesso bar magari alle 10.00 del mattino è frequentato da pensionati che si chiamano tutti per nome. Chi sceglie (che poi scegliere è un parolone) di vivere la vita sulla famosa ruota del criceto, lavoro da dipendente, 8 ore al giorno d così via, è molto più esposto a certi tipi di situazioni di altri. Se riesci a ritagliarti una vita su misura magicamente vedrai che ti circonderai da situazioni più affini al tuo carattere. In qualunque parte del mondo tu viva.