
Sono talmente angosciata da aver ripreso a scrivere sul blog, su cui non mettevo piede (anzi, mani) da due anni. Il motivo è semplice: ho letto la storia di questa donna e ancora prima che uscisse l’articolo incriminato, i cui autore e titolista (ammesso e non concesso che siano la stessa persona) dovrebbero essere immersi nel Tevere giusto una quindicina di secondi per vedere se qualche neurone si riattiva nel loro minuscolo cervello, dicevo prima di leggere questo articolo e rimanere sgomenta, ho letto la storia di questa donna. E non è stato lo sgomento il primo sentimento provato. Né rabbia, né tristezza.
La prima cosa che ho provato è stata comprensione.
Non so cosa l’abbia letteralmente spinta a fare quel salto, con le sue bambine. Quale ultimo pensiero, frase, immagine, situazione l’abbiano spinta a scegliere l’opzione più dura per tutte e tre. Quale fenomeno le ha fatto dire “Adesso basta, non ne posso più”. Non lo sappiamo, nessuno lo sa.
E non so se fosse davvero sola o se forse, benché circondata dagli affetti, nessuno si sia accorto fino in fondo la sua sofferenza. Perché una mamma, se c’è una cosa che sa fare molto bene, è nascondere la fatica, le lacrime, la depressione e tirare fuori sempre un sorriso, una parola buona, un “non ti preoccupare, va tutto bene” per non fare preoccupare nessuno, per far vedere che si è forti, sempre e comunque. Continua a leggere