Sbotti di fine anno
Come ogni anno, il 31 dicembre mi ritrovo a tirare le somme dell’anno che sta per concludersi.
Non è vero: Io le somme le tiro tutti giorni. Vivo con le somme della mia vita, peso la mia esistenza ogni sera prima di andare a dormire e ogni mattina, appena sveglia. Nel mezzo, vivo.
Ma oggi, più che mai, sento forte l’esigenza di tracciare una linea netta con ciò che è stato e con ciò che non sarà più. Il 31 dicembre è un giorno pesante, per me. Un giorno che passo guardando ai 364 giorni passati, cercando di capire cosa ho sbagliato e cosa è andato bene, cosa posso salvare e cosa invece devo assolutamente dimenticare, cancellare, buttare nella discarica dei ricordi perduti, per dirla come la direbbero le emozioni di Inside Out (solo gli esperti capiranno 😉).
Potrei fare una lista delle cose che sono andate bene e di quelle che sono andate male, ma non basterebbe un blog per spiegarle tutte e non voglio massacrarvi l’animo l’ultimo giorno dell’anno.
Chiudo il 2019 con una consapevolezza, che racchiude sia le esperienze belle sia quelle brutte.
Il lavoro è sacro, ma non ne vale la pena.
Che vuol dire? Vuol dire che, a meno che l’azienda non sia tua, il lavoro non può prevalere su tutto il resto della tua vita.
A meno che non trovi la tua mission, la tua vision, il tuo scopo che diventa un lavoro perché ti permette di vivere ma al tempo stesso rispecchia le tue passioni, il tuo credo e ti permette di fare la differenza in questo mondo…ecco se non trovi questo, ma solo un impiego, allora non dedicarci più tempo di quanto previsto dal tuo contratto. Che è già tanto, credimi.
Qualcuno tra di voi penserà: ma che dice questa, se mi impegno e lavoro dieci ore al giorno o magari anche durante i festivi, se tengo il cellulare aziendale sempre acceso e sono sempre, sempre disponibile, prima o poi mi promuoveranno.
Bravo, hai ragione. Ti promuoveranno, magari (ma non è detto) ti daranno anche un aumento. E pretenderanno sempre di più. Se prima lavoravi dieci ore al giorno quando necessario, adesso pretenderanno che lavori dieci ore al giorno tutti i giorni, perché ti hanno promosso e ti stanno anche pagando di più.
Sto ragionando per iperboli, non è detto che sia sempre così. Ma nella maggior parte dei casi, è così. E nella maggior parte dei casi, anche se lavori più del dovuto, non arrivano promozioni o aumenti.
Che ingiustizia, vero?
No, nessuna ingiustizia. Sei tu che decidi di dare di più prima che ti venga chiesto, magari in seguito a pressioni silenziose, battutine dei capi sulla tua puntualità nell’ uscire sempre alle 18, o una competizione con quel collega che prima delle 20 non esce. All’inizio nessuno ti chiede espressamente di lavorare più ore, soprattutto se non ti offre nulla di concreto per accettare l’onere.
Te lo chiedono in modo subdolo, facendoti capire che le tue otto ore giornaliere non bastano. Perché in Italia, e mi duole dirlo perché al mio paese ci sono affezionata, la tua produttività dipende dalle ore passate in ufficio e non dalla qualità del lavoro effettivamente svolto.
Lavori dieci ore, ma magari hai scritto 5 e-mail in tutta la giornata? Sei un gran lavoratore.
Lavori otto ore, alle 18 esci in punto, hai scritto 80 e-mail, chiuso due progetti e iniziato altri due? Sei uno scansafatiche, uno che guarda l’orologio, che fa il suo, che non brilla, etc…
Generalizzo naturalmente, se ti trovi in una realtà che invece premia in modo umano l’impegno allora ritieniti molto, molto, fortunato. In molte altre aziende non è così. Dove lavoro adesso posso ritenermi fortunata. L’ambiente è sereno e nessuno mette sotto pressione. Ma soprattutto, sono io che non mi faccio più mettere sotto pressione.
Lavoro otto ore. Uso tutti i permessi che posso e le ferie che posso per stare dietro a quello che conta davvero, la mia famiglia e i miei interessi. Sul lavoro do il massimo, sia chiaro. Mi impegno e cerco di portare a termine i progetti in modo puntuale e professionale. Ma alle 18 esco. E se inizio alle 8:30, esco alle 17:30. Puntualissima.
Capita qualche volta di rimanere di più, ma è raro. Ho il cellulare aziendale e un occhio ce lo butto durante i week end, lo ammetto. Ma senza l’ansia che avevo nei precedenti lavori.
Prima mi spendevo come una stupida. Stavo in ufficio dalle 8 del mattino alle 7 di sera, con due bimbi piccoli a casa. Sono rientrata dalla maternità obbligatoria quando i bambini avevano 4 mesi e mezzo perché “c’era tanto da fare in ufficio” (manco fossi un chirurgo che salva vite umane) e mi sentivo in colpa.
Stupida, stupida, stupida. Ho buttato via i mesi più belli da passare con i miei piccolini e oggi mi giustifico questo errore madornale con il fatto che non potevo permettermi di stare a casa. Ma la maternità facoltativa si può usare anche a ore o giorni, ci sono tanti modi per poterne usufruire senza vederti scendere di troppo lo stipendio, ma io stupida sono tornata al lavoro.
Ci ho messo anni a capirlo. Ma l’ho capito finalmente e voglio fare dono di questa consapevolezza anche a voi, se siete al vostro primo impiego o siete in quella fase in cui non sapete bene come procedere, se lavorare di più oppure no.
Vi do qualche consiglio, fa male leggerlo per gli stacanovisti dell’orologio, ma credetemi, funzionano:
- Qualsiasi ruolo ricopriate, fatevi rispettare. Dall’impiegato delle pulizie al top manager: fate quanto richiesto dal contratto e se qualcuno ve lo fa pesare, tirate dritto per la vostra strada.
- Se il vostro datore di lavoro giudica la vostra efficienza solo in base all’orario, non è il posto di lavoro giusto. Se l’atmosfera e la pressione diventano intollerabili, cambiate. CAMBIATE LAVORO. Si può fare, a qualsiasi età, in qualsiasi momento. Provateci. Non è facile, ma provateci.
Una persona si giudica dalla qualità del suo lavoro, non dalla quantità. In molti paesi europei (i paesi scandinavi e la Germania, ad esempio) lo hanno capito e se lavori più delle ore contrattuali significa, udite udite, che o NON sai fare il tuo lavoro o il carico di lavoro è superiore alla tua capacità giornaliera. Non potrei essere più d’accordo.
Otto ore al giorno sono tante, credimi. In un giorno ci sono 24 ore. Otto le passiamo a lavorare, otto a dormire. Ce ne rimangono otto per dedicarci a noi: famiglia, casa, interessi.
In pratica, il lavoro ha lo stesso peso orario della realizzazione della nostra vita, perché il sonno è essenziale a livello biologico, ma in quelle ore siamo fermi. Se alle otto ore contrattuali aggiungiamo altre due ore, significa che sottraiamo a noi stessi o al riposo due ore preziose. E ci facciamo male in entrambi i casi.
Fatti rispettare. Il datore di lavoro intelligente intuisce il lavoratore responsabile che ci tiene alla sua esistenza privata e personale e non la sottomette agli interessi aziendali. Il datore di lavoro intelligente intuisce, capisce e rispetta. E magari cambia mentalità: se tutti i lavoratori, anche gli stacanovisti dell’orologio, iniziassero a pretendere rispetto per le condizioni contrattuali, i datori inizierebbero a calmarsi a cambiare strategie: assumendo più personale o ridimensionando le aspettative e gli obbiettivi aziendali.
Non sto dicendo di protestare, fare scioperi e rivoluzioni. Parlo di atteggiamenti in cui si chiede rispetto per il proprio lavoro, punto.
Non darti inutilmente all’azienda. Non ne vale la pena.
Se arriva la meritata promozione, accettala e festeggia. Ma continua a lavorare sempre nel perimetro di quanto hai firmato, non darti esageratamente perché ti hanno promosso.
Non riesci a svolgere il lavoro nei tempi? Otto ore ti sembrano poche? Leggi quanto ho scritto sopra e rifai i calcoli della tua giornata, così cambi subito idea. Otto ore sono tantissime, in alcuni paesi del nord si sta pensando (e forse lo stanno già facendo) alla settimana di 4 giorni. Per dire.
Otto ore sono tante, fattele bastare. Se non bastano, rivedi il tuo lavoro, le tue priorità. Impara a delegare, a chiedere supporto senza timori di essere superato. Un buon leader/responsabile/manager si vede anche da quanto riesce a delegare in modo efficace. Gli accentratori di solito fanno poca strada.
Educa il datore di lavoro a prendere le misure, a smettere di pretendere e iniziare a rispettare.
Se, come è successo a me, ti metteranno i bastoni fra le ruote invece di capire, cambia lavoro.
Se invece l’azienda è tua, impara a rispettare i tempi di chi lavora per te e in questo caso, beh se devi fare dieci ore in ufficio direi che va bene, l’azienda è tua, decidi tu quanto tempo investirci, di sicuro ne varrà la pena perché c’è il tuo nome sull’insegna, è il tuo progetto personale, è giusto investirci le energie che si vogliono investire. Senza tralasciare affetti e vita personale mi viene da dire, ma qui aprirei un’altra parentesi che c’entra poco con il discorso di fine anno che sto facendo. 😊
Io ho cambiato, sia lavoro sia approccio, e dove sono adesso mi prendo i miei tempi, lavoro sodo e nessuno si lamenta, anzi.
È più facile di quello che credete.
Vi auguro un 2020 produttivo entro le otto ore contrattuali 😀
Angelica